L’uomo nel Vulture, dalla preistoria alla storia

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Dalla sua formazione, al vulcano s’accompagnarono altri eventi che ininterrottamente fino ad oggi hanno influenzato tutta la storia di questi luoghi, della natura come dell’uomo. Primo fra tutti fu la formazione di laghi nelle pianure antistanti al cono vulcano: i paleolaghi del Vulture.

Il materiale eruttato finì con lo sbarrare i torrenti delle grandi vallate, le quali si trasformarono in laghi. Lo stesso Ofanto, l’Aufidus tauriformis dei romani, fu costretto a modificare un tratto del suo corso. 

Intorno a questi invasi, e in particolare sulle sue rive si concentrò la vita animale e dell’uomo preistorico. Ne sono testimonianza gli scavi condotti presso il “Cimitero di Atella” o presso “Notarchirico”. 

In quest’ultimo sito è stato ritrovato il più antico fossile umano del Pleistocene Medio finora scoperto in Italia: un femore attribuito alla specie Homo heidelbergensis e datato 665-610 ka. Notarchirico si costituisce così come il sito “chiave” per la comprensione della cultura primitiva acheuleana nell’Europa occidentale.

Raggiungere il Vulture e la sua caldera doveva costituire un’ardua impresa, certamente non costituì un deterrente per le comunità monastiche: dapprima i basiliani, poi i benedettini, ancora dopo gli agostiniani e, infine, i francescani. 

Nonostante l’antica via Herculea vi passasse accanto, pochi tratturi e sentieri, spesso dissestati, permettevano il transito di carrozze nel Vulture: mezzi di trasporto rari in un luogo considerato militarmente strategico sin dall’impero romano. Solo un secolo e mezzo fa un viaggio in quest’area rappresentava un’avventura riservata a pochi audaci studiosi, ad artisti o curiosi facoltosi che precauzionalmente prima di partire producevano testamento. 

L’intera montagna, oltre che difficile da raggiungere e irta di ostacoli, era infestata da briganti organizzati in bande; perciò pochi erano quelli che sul posto erano disposti ad accompagnare l’intraprendente e sprovveduto viaggiatore. 

Il russo Pierre de Tchihatchoff, della società imperiale dei naturalisti di Mosca, gli inglesi Charles Dauboney (chimico e botanico), Edward Lear (pittore e scrittore) e Robert Mallett (scienziato sismologo della Royal Society of London), il medico svizzero Karl Willhelm Schnars, il geologo prussiano Otto Wilhelm Hermann Von Abich, i francesi François Lenormant (archeologo con una forte passione civile e politica) e Emile Bertaux, studioso di monumenti medioevali, sono solo alcuni dei viaggiatori attratti dal Vulture e che su di esso si sono premurati di pubblicare delle memorie.

Molti anche gli italiani: Gianbattista Brocchi, Giovanni Gussone e Michele Tenore, Paci, Luigi Palmieri e Arcangelo Scacchi, Nicola Terracciano, Guelfo Cavanna, Cesare Caroti e Antonio Biondi. Molti altri invece, pittori, storici, studiosi d’arte e di monumenti, vennero attratti al Vulture dalle letture classiche e storiche: Polibio di Megalopoli, Quinto Orazio Flacco, Tito Livio. 

A tutti questi viaggiatori il Vulture apparve unico, come se ne avvertissero l’autorevolezza.