Un'isola dal nome di avvoltoio

Si erge imponente il Vulture, isolato com'è tra pianure.

L’antichissima montagna, cara al poeta latino Orazio, è un vulcano. Dal tempo della sua edificazione, circa 750.000 anni fa, è l’indiscusso protagonista primigenio delle vicende geografiche, botaniche, zoologiche, antropologiche, cui è andato incontro l’ambiente naturale circostante.

Dal suo ultimo fuoco, circa 125.000 anni fa, il paesaggio vivente si è costruito lentamente ma continuamente, attraversando le glaciazioni e una storia naturale e dell’uomo molto coinvolgente. Testimone d’eccezione è una farfalla, un relitto miocenico, un fossile vivente: la Bramea europea che, in piccolo bosco del Vulture, trova ancora oggi, dopo milioni di anni, il suo antichissimo habitat.

L’intero massiccio è inserito nell’inventario Nazionale dei Geositi. La sua caldera di collasso, completamente rimboschita, con giù i due laghi di Monticchio, costituisce la Zona Speciale di Conservazione (ZSC) Monte Vulture.

La Bramea, una farfalla fossile vivente

La sua mimetica livrea, i suoi brevi voli e il suo ristrettissimo habitat hanno probabilmente tenuto questo piccolo animale per lungo tempo fuori dalla conoscenza.

Subito a seguito della sua scoperta, avvenuta nel 1963, si riconosce in questo essere un fossile vivente, un relitto che ci giunge dal Miocene, un tempo della storia naturale della Terra durante il quale la separazione dei continenti da Pangea stava continuando verso l’attuale posizione geografica.

Il vulcano: dinamica eruttiva, geosito

La storia eruttiva del Vulture è iniziata più di 700.000 anni fa. È il solo vulcano italiano a essere ubicato sul versante orientale della catena appenninica

L’edificio vulcanico presenta una morfologia molto complessa. Si è andato realizzando attraverso diverse fasi alterne di costruzione e distruzione, perciò la sua forma non è immediatamente riconducibile a quella classica vulcanica a cono. Craterizzazioni, collassi, fasi tettoniche, sono le forze che hanno agito modificandone l’aspetto. Le eruzioni durante la sua storia sono state anche molto variabili: esplosive, di tipo stromboliano, ma anche effusive e idromagmatiche.

L’attività eruttiva non si è svolta soltanto ripetutamente da una singola bocca (come nel caso dell’edificio morfostrutturale denominato Vulture-san Michele), bensì anche da molteplici centri eruttivi sovente monogenetici, come quello che ha dato origine alla colata lavica su cui sorge l’antico abitato di Melfi, compreso il suo castello, o quelli che hanno portato alla formazione dei laghi così come oggi li conosciamo.

L’uomo nel Vulture, dalla preistoria alla storia

Dalla sua formazione, al vulcano s’accompagnarono altri eventi che ininterrottamente fino ad oggi hanno influenzato tutta la storia di questi luoghi, della natura come dell’uomo. Primo fra tutti fu la formazione di laghi nelle pianure antistanti al cono vulcano: i paleolaghi del Vulture.

Il materiale eruttato finì con lo sbarrare i torrenti delle grandi vallate, le quali si trasformarono in laghi. Lo stesso Ofanto, l’Aufidus tauriformis dei romani, fu costretto a modificare un tratto del suo corso. 

Intorno a questi invasi, e in particolare sulle sue rive si concentrò la vita animale e dell’uomo preistorico. Ne sono testimonianza gli scavi condotti presso il “Cimitero di Atella” o presso “Notarchirico”. 

I laghi e le acque minerali

Il Lago Piccolo e il Lago Grande di Monticchio sono alimentati da acque sotterranee e meteoriche. Quelle del “Piccolo” si versano nel “Grande” attraverso un canale artificiale, mentre le acque di quest’ultimo invaso, per mezzo del Torrente Laghi, si versano nell’Ofanto, confine tra la Campania e la Basilicata.

Il Piccolo ha le rive prive di spiaggia, sembra quasi che il bosco vi si precipiti dentro, mentre il Grande è circondato da ampie aree che spesso sono allagate determinando impaludamenti, ma anche una straordinaria biodiversità.

Una recente misurazione batimetrica (2015) ha accertato una profondità massima per il Lago Piccolo di circa 44 metri, per il Lago Grande di circa 40 metri.

I laghi di Monticchio sono stati inclusi nel Progetto Euromaars (UE), finalizzato alla ricostruzione della storia climatica del Quaternario attraverso lo studio dei sedimenti di alcuni bacini lacustri europei, oltre all’European Lake Drilling Project (ELDP) e il Past Global Changes (PAGES) dell’International Geosphere Biosphere Programme (IGBP). Da molti anni il GeoForschungsZentrum (GFZ) di Potsdam (Germania) sottopone a indagini multidisciplinari i sedimenti del Lago Grande. 

L’antico culto delle acque

L’acqua, universale referente di ogni forma insediativa e di sopravvivenza, divenne nel Vulture materia indissociabile dal vulcano attivo come dalla montagna vulcanica quiescente. Sempre abbondante e straordinaria, costituì per la fauna e la flora, come per l’uomo, un’opportunità singolare, intorno alla quale le specie si sono raccolte determinando ecosistemi e habitat davvero speciali. 

Per la loro distribuzione, i loro salti, sapori, colori, la loro effervescenza unita a molte altre caratteristiche, le acque, così diverse, devono aver incoraggiato e ispirato il loro culto.

Le sorgenti, le fontane, le cascate

Le sorgenti vulturine si possono distinguere in due gruppi: quelle con acque poco mineralizzate e povere di CO2 e quelle con acque mineralizzate e ricche di CO2

Esse emergono su tutto il monte, da poco sotto la sommità fino alla base dell’apparato vulcanico. Hanno età molto differenti e, sebbene vi siano falde basali sovrapposte, queste sono tutte intercomunicanti a grande scala. Le piccole sorgenti d’alta quota sono invece alimentate da falde sospese.

Il Santuario rupestre, la Badia, il Convento francescano

All’interno della caldera del Vulture, l’insediamento monastico è rappresentato essenzialmente da due siti. Il primo, è il santuario micaelico rupestre. Emerge da una rupe a picco sul Lago Piccolo quasi a costituirne un tutt’uno. In seguito racchiuso per lo più all’interno delle fabbriche francescane che incorporano la grande grotta dedicata al culto di San Michele Arcangelo.

La chiesa rupestre e l’edicola con gli affreschi hanno fatture tipiche dell’arte orientale (è di sicura ascendenza bizantina la Deésis raffigurata nella parete di fondo dell’edicola, rappresentata secondo uno schema rigorosamente gerarchico con al centro il Cristo, di dimensioni maggiori rispetto alle immagini della Madonna e di san Giovanni Battista).

Il paesaggio vivente

Il paesaggio del Vulture è particolarmente diversificato. 

Le sue aree naturali dimostrano un’eccezionale biodiversità oggetto di studi da parte di numerosi botanici che, nel corso tempo, si sono avvicendati tra questi boschi. Essi hanno lasciato interessanti testimonianze delle loro peregrinazioni, redigendo inventari sulla flora che ricopre questo Monte. Oggi tali studi sono di estremo significato: permettono di comprendere l’evoluzione del sito e con essa di portare alla luce i profondi cambianti che l’hanno interessato.

Il culto micaelico a Monticchio

Intorno a queste acque sospese, profonde e garanti del silenzio, attecchì un crescendo di vite ispirate dalla gioia del luogo e poi dalle contemplazioni mistiche. 

Anche solo un rapido sguardo alle antichissime grotte degli eremiti basiliani, al convento francescano e alla Badia di Monticchio, lascia intuire la stratificazione degli accadimenti scaturiti da quell’amenità primordiale per lungo tempo corroborata e salvaguardata da un prezioso silenzio, palese dimostrazione dell’armonia senza conflitti tra la naturalità e lo spirito del luogo. 

La flora spontanea

Nel Vulture si segnala la presenza di numerosi taxa di notevole interesse conservazionistico e biogeografico. 

Il pungitopo (Ruscus aculeatus) è inserito nella Direttiva “Habitat” 92/43/CEE. Altre specie sono protette a livello regionale dal D.P.G.R. n. 55 del 18 marzo 2005, il decreto che identifica le specie della flora regionale prioritariamente da salvaguardare e il diverso grado di protezione loro riservato, in funzione dell’attuale stato di conservazione e della loro vulnerabilità. 

Marchigiani a Monticchio

Nel 1872 l’intera tenuta di Monticchio fu ceduta dal Demanio dello Stato al Credito Franco Svizzero. Restituita per inadempienza degli accordi, arrivò in possesso della Società Lanari & C. di Roma, i cui proprietari erano di origine marchigiana (Ancona). 

Dal 1892 al 1903 i Lanari divisero l’azienda in due parti: una, di circa duemila ettari e completamente trasformata, rimase agli eredi Lanari; l’altra, di circa tremila e trecento ettari, fu attribuita al Credito mobiliare che poi la cedette al Banco di Roma.

La comunità faunistica

Le specie animali che hanno abitato il Vulture non sono state sempre le stesse. Il clima e la presenza dell’uomo sono stati decisivi nella composizione della fauna locale. Il venosino Orazio ci ricorda come da questa provincia romana provenissero molti degli orsi utilizzati durante gli spettacoli nei circhi di Roma (Odi, 3, 4, vv 9-19). L’ultimo orso, secondo lo storico Giustino Fortunato, fu ucciso, intorno la metà del Seicento, da un conte di Casa Sanseverino. Lo stesso autore segnala ancora la presenza del capriolo all’inizio del Novecento.

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